IN AQVA VERITAS

di Alessandro Staffa


Esco fuori. Si, adessso esco. Profonda inspirazione. Ritenzione. Lunga espirazione. Respiro normale. Guardo verso terra, per poi tornare a guardare verso l’orizzonte: ancora si notano grandi masse di energia sotto forma di gobbe che gli conferiscono una strana, ma quantomai conosciuta forma. Proseguo verso di esso. Ancora una. Respirando, in posizione di riposo, in piena armonia con tutto ciò che in quel momento mi circonda, pur non facendoci assolutamente caso, mi preparo alla prossima espressione di energia, che, non so per quale regola, sono certo arriverà in quello spazio temporale, apparentemente invisibile dall’esterno. E’ solo una pausa. Qualcuno, in forma scritta o parlata, non ricordo, mi svelò un grande segreto: “Nella musica, sono le pause, più delle note, che fanno la differenza”. Profonda inspirazione, ritenzione, lunga espirazione e poi di seguito, altra inspirazione, breve ritenzione e affannata espirazione. Nella sua perfezione, anche la più complessa forma di energia, può avere delle sfumature diverse da come il tuo istinto le ha analizzate, posizionandole nel blocco di memoria sbagliato, o meglio non esattamente adeguato, da cui ne è scaturita una risposta, anch’essa, non esattamente adeguata. L’imprevisto è importante. Non puoi vivere senza imprevisti. Però puoi allenare il tuo istinto a prevedere degli spazi o “blocchi” di allocazione, d’improvvisazione esterna, cosicchè le tue azioni, effetto di una causa “imprevista” siano sempre “istintivamente adeguate”: Kundalini. Essere preparati, vuol dire avere a disposizione una grande quantità di “varianti” con una sola ed “adeguata risposta”: I-ching. Che importa l’imprevisto, se tanto la risposta è sempre Una? Dò uno sguardo più attento verso terra, cerco di convincermi che sono stanco, e poi, si, i piedi... quelli sono freddissimi, malgrado i calzari in neoprene. Cosa fare? E poi è tardi! Mentre a quest’ultima proposta del mio cervello rispondo in tempo reale: “tardi per cosa?”, mi giro verso l’orizzonte, come a chiedergli il da farsi; la sua vastità annebbia la mente, distoglie il pensiero, forse lo placa. Ancora una. Ripongo un’altra volta ancora il mio spirito nella calma della pausa. Attendo. Anche questa pausa dura quanto effettivamente doveva durare. Di nuovo, profonda inspirazione, ritenzione, lunga espirazione. Riprendo contatto immergendo, con un istintivo tuffo per meglio distanziarmi dal “mezzo”, il mio corpo nella mia natura. Attesa. Appagamento disinteressato. Riprendendo contatto con il mio “mezzo”: inizio a dirigermi verso terra, mentre, con una ampia rotazione dell’oramai sciolto collo, continuo a guardare l’orizzonte dietro di me. Lo saluto, lo ringrazio anche se non lo penso in quel momento: ne sono consapevole. Pensiero e consapevolezza come dire: mangiare e cibo. Esausto, appoggio delicatamente il “mezzo” sui sassi che ricoprono questo tratto di costa che, più di duemila anni fa, ospitava un fiorente porto etrusco, crocevia culturale del Mediterraneo. Il “mezzo”, una Stewart 9 piedi, gialla e blu, acquistata nel 1998 proprio nel negozio che Bill Stewart, negli anni sessanta, fondò a S. Clemente, sobborgo della California del sud. Inizio così a spogliarmi di ciò che la tecnologia, o meglio, la propensione umana all’evoluzione, mi ha fornito, permettendomi di fare cose che “naturalmente” il mio corpo non sarebbe stato in grado di fare: rimanere in ammollo, nelle acque del Mar Tirreno, nel mese di marzo per più di tre ore! E’ solo neoprene. Derivato del petrolio. Prodotto principalmente in Giappone. Disegnato e marchiato negli Stati Uniti. Assemblato in Thailandia, Cina o Taiwan. Rivenduto in Europa. Rientro in acqua. 

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